La mobilità elettrica è diventata un fenomeno di massa negli ultimi anni, ma alcune delle tecnologie che sfrutta sono in realtà figlie di uno sviluppo centenario. Il motore elettrico, ad esempio, rappresenta una soluzione tecnica già ampiamente utilizzata in molteplici ambiti, estremamente matura e affidabile, al punto da incorrere in guasti – nell’automotive – con una frequenza inferiore di circa 6 volte rispetto ai propulsori a combustione interna.
Il motore elettrico è composto da due elementi principali: lo statore e il rotore. Il primo, come si intuisce dal nome, è statico e ospita al suo interno una serie di bobine. Queste, disposte in modo specifico, ricevono energia per creare un campo magnetico rotante che aziona il rotore. Da questo movimento circolare si crea la coppia motrice che viene poi trasmessa alle ruote per far muovere l’automobile.
I motori elettrici funzionano nella maggior parte dei casi a corrente alternata e necessitano quindi di un inverter per convertire la corrente continua proveniente dalla batteria. In alternativa, possono usare bobine collegate a barre commutatrici che invertono la direzione della corrente che scorre nelle bobine stesse per avviare la rotazione del rotore.
La velocità di rotazione e la coppia del motore possono essere regolate lavorando sulla tensione, la frequenza e l’ampiezza dell’elettricità.
I motori elettrici tradizionali sono detti a flusso radiale, ma in campo automobilistico, negli ultimi tempi, sta prendendo piede per determinate applicazioni anche un nuovo tipo di motore elettrico, detto a flusso assiale. In questi motori il rotore ha un diametro maggiore ma è anche molto più sottile a livello di spessore e ha bobine disposte su un asse parallelo a quello di rotazione. Questo tipo di motore consente erogazioni di coppia superiori ed è guardato con particolare interesse da una serie di Case automobilistiche per vetture elettriche ad alte prestazioni.
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